A cura di Francesco Moretti
Caso numero dieci, leggo, ascolto, e rimango lì, un poco scosso, di certo colpito.
Non so bene da che parte cominciare.
L’imbeccata del Nostro esplica a dovere, ma non mi toglie da questo stato d’animo:
“Glasgow e Newcastle erano città di costruttori di navi, ed erano famose in tutto il mondo per l’eccellenza della loro ingegneria navale.
Da bambino, amavo ascoltare le sirene antinebbia quando andavo a letto, la sera.
Un bacino di demolizione in India è un posto davvero lontano dove mandare a morire una così bella nave, costruita interamente sul fiume Clyde.
Ho letto di un luogo simile su una rivista, e cominciato a scrivere So Far From The Clyde pochissimo tempo dopo.”
Ecco, So Far From The Clyde parla di un fatto non certo di tutti i giorni, ma che fa parte della normalità delle cose, cioè la demolizione di una vecchia nave britannica.
Sì, certo, in India, un po’ lontano, ma è una cosa normale, in questi tempi di globalizzazione.
La manodopera non crea grandi problemi e, soprattutto, costa meno.
Cost Abatement, come dicono gli economisti.
Normale, ho scritto?
No no, ci si rende conto da subito che in questa storia, di normale, non c’è niente.
Ci si rende conto da subito che questa, più che una demolizione, sembra la condanna a morte di una persona.
Un’ultima cena a bordo, da parte di un equipaggio ridotto al minimo, compunto e silenzioso che, novello Ponzio Pilato, sembra lavarsene le mani nel mare poco profondo, quasi ad allontanare un malcelato senso di colpa.
Un esperto, che prende il posto del capitano per quella che sarà l’ultima manovra, e che viene paragonato, in modo per nulla azzardato, ad un boia.
Il capitano stesso che, fattosi da parte, osserva impotente la sua nave arenarsi, con un sussulto quasi di persona viva, per poi calarsi a terra ed andare via, a testa bassa,
senza voltarsi indietro.
Perché questo senso di tristezza e vergogna?
Forse perché quella era la sua nave, che lo aveva ospitato in tanti viaggi, protetto durante le tempeste, ed accompagnato in giro per i mari di mezzo mondo?
Forse perché, se solo avesse potuto, non sarebbe mai andato, assieme ai suoi marinai, fino in India, ma avrebbe dato degna sepoltura alla sua imbarcazione nel paese dov’era nata?
Forse per il non potersi opporre a questa tragica e finale decisione, e perché, guardandosi indietro, non avrebbe sopportato la visione della sua “creatura”, dapprima squartata e poi scarnificata, da stormi di poverissimi operai, pagati un tozzo di pane per ore e ore di quel lavoro usurante?
Sì, è molto probabile, ma forse c’è dell’altro, e per comprendere bisogna andare un po’ indietro nel tempo.
Indietro ai primi anni del ‘900, quando un quinto del totale di tutte le navi del mondo era costruito nei cantieri sulle rive del fiume Clyde a Glasgow, città le cui locazione strategica e vicinanza ai giacimenti di materie prime fece fiorire un’industria che, al suo massimo splendore, impiegava decine di migliaia di lavoratori.
Un’industria che, tra il 19° ed il 20° secolo arrivò a costruire quasi 30.000 navi, diventando un fiore all’occhiello per produzione e qualità.
Che resistette a due conflitti mondiali, dando un grande contributo alla nazione, nonostante i pesantissimi bombardamenti della Luftwaffe nel 1941.
Che combattè la concorrenza spietata ed a basso prezzo di altre nazioni, soprattutto asiatiche, continuando a produrre imbarcazioni di qualità superiore.
E che rappresentò per chi vi lavorava, e per il paese intero, un simbolo di appartenenza e dignità, al punto di ideare una delle forme di protesta più singolari in assoluto nei primi anni ’70, in risposta al piano del Governo Conservatore di allora, che prevedeva di chiudere i cantieri sul Clyde, tagliando qualcosa come 6.000 posti di lavoro.
Ebbene quei lavoratori, per mostrare al Governo quanto quei cantieri fossero importanti e quanta e quale fosse la loro perizia, si chiusero all’interno, lasciando fuori dai cancelli i loro dirigenti, e lavorarono così bene in autogestione da dimostrare al paese che potevano completare le commesse ricevute in completa autonomia.
Per la cronaca, il Governo del Primo Ministro Edward Heath alla fine cedette, e cantieri e posti di lavoro furono salvati.
Avvenimenti e scenari che, rapportati a quelli attuali, sembrano o fuori dal mondo o frutto della fantasia, al punto da far pensare, anche a me che scrivo, e che non sono più giovanissimo, di avere vissuto in altri tempi.
No, niente rimpianti (cit.), semplicemente quei tempi sono cambiati, i signori dell’economia (i Masters Of The Universe, come li ha soprannominati Paul Krugman), hanno trovato nuovi mezzi per abbattere i costi e massimizzare il profitto, ed il mondo ha dovuto adeguarsi, specie quello del lavoro.
È la globalizzazione, bellezza, durerà a lungo ed è bene adattarsi e farci l’abitudine.
Resta soltanto un pensiero fisso a rodere nella mente, come un tarlo nel legno.
Un tarlo che il Nostro descrive alla perfezione, con musica e testo, evidenziando la grande sfortuna, che va oltre la perdita di un’imbarcazione, dei personaggi descritti in questa canzone.
Cioè che tempi più belli o quantomeno più vivi e partecipati, come quelli descritti poco sopra, ci sono realmente stati, e che ad essere demolita, lontano da casa ed affetti e senza cerimonie di sorta, sia stata, come cantavano i Deacon Blue, una nave chiamata Dignità.
Così lontano dal fiume Clyde
Consumarono l’ultima cena, il giorno della tirata in secca,
lei è una nave al suo ultimo viaggio - l’equipaggio è ridotto all'osso.
La cambusa è vuota, le pentole si stanno raffreddando,
con dentro ciò che resta di uno stufato.
La sua ora si sta avvicinando, il capitano si fa da parte,
il boia fa il suo ingresso, per far quello per cui è pagato.
Con il vento a favore e la marea, lei procede fiera, a tutta velocità,
e lui la dirige bruscamente sulla riva.
Così lontano dal fiume Clyde (1), siamo dovuti andare, insieme a te,
e siamo andati.
Come sull’onda, dalla prua fino al timone,
lei s’innalza con coraggio, per incontrare la terra.
Tutti quanti, sotto i loro piedi, sentono la chiglia sussultare,
il mare poco profondo lava loro le mani.
Più tardi, il capitano stringe la mano al boia,
e si cala, lentamente, fino al terreno umido e oleoso.
Si dirige, a capo chino, fino all’auto che è venuta a prenderlo,
attraversando il cimitero, per riportarlo in città.
Così lontano dal fiume Clyde,
siamo dovuti andare, insieme a te,
e siamo andati.
Le strappano i cavi e le tagliano i boccaporti.
Troppo poveri per esser prodighi di tempo o pietà,
gli operai sciamano sulla sua carcassa armati di torce ed asce,
come addosso a una balena sulla battigia insanguinata.
Viene spogliata dei suoi piloni, delle corde di puntello dei suoi alberi (2) e dei suoi sostegni. E quando non rimarranno che le sue ossa, sulla terra umida e avvelenata,
verrà trascinata da corde di acciaio, attaccate ad argani a motore,
finché non ne resterà che una macchia sulla sabbia.
Così lontano dal fiume Clyde,
siamo dovuti andare, insieme a te,
e siamo andati.
Così lontano dal fiume Clyde,
siamo dovuti andare, insieme a te,
e siamo andati.
Lyrics
So far grom the Clyde
They had a last supper, the day of the beaching,
she’s a dead ship sailing - skeleton crew.
The galley is empty, the stove pots are cooling,
with what’s left of a stew.
Her time is approaching, the captain moves over,
the hangman steps in, to do what he’s paid for.
With the wind and the tide, she goes proud ahead, steaming,
and he drives her hard into the shore.
So far from the Clyde (1), together we’d ride,
we did ride.
As if to a wave, from her bows to her rudder,
bravely she rises, to meet with the land.
Under their feet, they all feel her keel shudder,
a shallow sea washes their hands.
Later, the captain shakes hands with the hangman,
and climbs, slowly, down to the oily wet ground.
Goes, bowed, to the car that has come here to take him,
through the graveyard and back to the town.
So far from the Clyde,
together we’d ride,
we did ride.
They pull out their cables and hack off her hatches.
Too poor to be wasteful with pity or time,
they swarm on her carcass with torches and axes,
like a whale on the bloody shoreline.
Stripped of her pillars, her stays (2) and her stanchions. When there’s only her bones on the wet, poisoned land,
steel ropes will drag her, with winches and engines,
’til there’s only a stain on the sand.
So far from the Clyde,
together we’d ride,
we did ride.
So far from the Clyde,
together we’d ride,
we did ride.