a cura di Marco Petrozzi
Senza dubbio Wag the Dog è la pellicola di maggior prestigio mai musicata da Mark Knopfler. E questo sia per la cifra artistica degli attori (Robert De Niro, Dustin Hoffman, Woody Harrelson, William Macy, James Belushi, Willie Nelson) sia per l'impeccabile regia di Barry Levinson.
Da dove cominciare per raccontare questo film? Iniziamo dall'orrendo titolo italiano: 'Sesso e Potere' non ha nulla a che vedere con l'originale e intraducibile 'Wag the Dog', titolo spiegato in una delle prime scene della pellicola. «Perché un cane agita la coda? Perché il cane è più intelligente della sua coda. Se invece fosse la coda più intelligente, agiterebbe lei il cane». Un dialogo semplice, banale per molti versi, ma lo scorrere del film rende chiara e geniale la metafora iniziale.
Altro punto essenziale da chiarire è quello del valore profetico del film, e più ancora del libro da cui è tratto. Nel 1993 Larry Beinhart usciva nelle librerie col romanzo "American Hero", opera incentrata sulle strategie di manipolazione mediatica ideate per distogliere l'attenzione del pubblico dai peccati dei potenti. Incredibilmente, due anni prima dello scandalo Clinton-Lewinsky (1995), il libro anticipa l'imminente sexgate alla Casa Bianca. Beinhart come l'oracolo delfico? Certamente l'intuizione del romanziere ha dell'incredibile. E altrettanto straordinario è il tempismo con cui lo stesso Levinson esce nelle sale nel 1997 con Wag the Dog , quando l'America e il mondo intero sono con il fiato sospeso per via degli scandali sessuali negati e poi ammessi dal presidente Clinton, che rischia la messa in stato d'accusa.
Ed eccoci così giunti alla trama. Siamo alla Casa Bianca. Una giovane scolta (una ragazza scout) accusa il Presidente (interpretato da Michael Belson) di molestie sessuali, compromettendo la sua popolarità in modo irrimediabile. Conrad Brean (Robert De Niro, esperto in comunicazione di massa), e Winifred Ames (Anne Heche, addetta alla presidenza), progettano un piano per sviare l'attenzione dell'opinione pubblica. Decidono così di far leva sui sentimenti patriottici del pubblico americano, diffondendo la surreale notizia di un attacco da parte di terroristi albanesi. Chiedono così l'aiuto di Stanley Motss (Dustin Hoffman), un acuto e spregiudicato produttore hollywoodiano. Insieme diffondono una seconda falsa notizia: l'imminente azione controoffensiva americana per mezzo di un fantomatico bombardiere B3. L'idea è far pervenire alla stampa questa seconda notizia per poi prontamente smentirla, stuzzicando così ad arte l'interesse del pubblico e degli stessi giornalisti.
La manipolazione mediatica viene poi completata con alcune riprese girate in uno studio cinematografico con la sapiente regia di Motss per convincere il pubblico della crudeltà dei terroristi: filmati di villaggi in fiamme, di profughi in fuga, di ragazzini spaventati sono montati ad arte e spiattellati in tv, deviando efficacemente l'attenzione del pubblico dallo scandalo. La gente comincia a ricompattarsi sotto le bandiere a stelle e strisce, dimentica i peccati del Presidente e fa quadrato attorno a lui per spirito di patria. Brean scova anche uno psicopatico reduce di guerra (Woody Harrelson) e ne fa il simbolo dell'eroe di guerra americano, poi fa comporre al musicista country Johnny Dean (Willie Nelson) una commovente canzone che diventa il nuovo inno nazionalista nella lotta repressiva al terrorismo. La nazione è conquistata, anzi è trascinata dall'azione patriottica del Presidente e del Governo intero contro la 'spietata' cellula terroristica albanese. La strategia manipolativa riesce e i problemi del Presidente sono superati. Ormai non è più il cane a muovere la coda, ma è la coda a scuotere il cane, poiché si rivela più intelligente di lui.
Motss però comincia a rivendicare i suoi diritti, minacciando di portare l'intera farsa a conoscenza del pubblico americano, e Brean così decide di fermarlo.
Una pellicola incalzante, visionaria, nobilitata dall'interpretazione di attori straordinari e animata dalla chitarra di Mark Knopfler. Incredibile il tempismo con cui è uscito il film, ma ancora più incredibile è l'intuizione con cui l'autore Beinhart ha scritto il suo libro anni prima del sexgate della Casa Bianca. Premiata da una parte della critica, relativamente ignorata dal pubblico, la pellicola ha un innegabile valore intrinseco: illustra con chiarezza quanto i media possano rendere vero il falso, e viceversa. A metà tra satira e denuncia, il film è un'efficace e godibile invettiva contro il potere mediatico, e solleva un inquietante dubbio sulla manipolabilità del pubblico e della stessa stampa da parte dei poteri forti della politica e della finanza.